Quando un barlume di quella sapienza ci si riaccende dentro, avvertiamo il richiamo della persuasione: di uno stato che abbiamo conosciuto, senza averlo voluto. Non avevamo <<la vicinanza delle cose lontane>>, senza nemmeno sospettare che questa è una definizione di ciò che donano le grandi metafore? <<Vedevamo>> senza saperlo, col grande occhio azzurro e stupefatto di quel cielo estivo. E non avevamo <<il possesso presente della nostra vita>>, senza neppur sognare che fosse la nostra? Come dire che eravamo <<salvi>> allora, nel nostro tempo più leggero e serio. Solo più tardi bisognò dimostrare di esistere, e fu allora che vedere e mangiare, conoscere e possedere si separarono, le cose vedute divennero oggetti di cupidigia e le cose afferrate furono consumate: e questo è l’effetto di ciò che i teologi chiamano il peccato originale. Fu allora che nacquero insieme il tempo e l’io, e conoscemmo il nostro peso.
Roberta De Monticelli da “Il richiamo della persuasione – Lettere a Carlo Michelstaedter”