Cacciari e le vie della Croce
La figura del Crocifisso non è soltanto presenza reale che si innalza, che si eternizza, passato che si infutura e, insieme, grido dell’abbandono, che è memoria in sé dei tormenti e dei dubbi di una vita integralmente vissuta. E’ anche figura di una tensione inesauribile, del trascendersi infinito dell’esserci all’Uno che ogni luce, ogni contraddizione, tutti i logoi debbono presupporre. Se le vie che sono la Croce non “immaginano” tutto ciò, la grande Icona fallisce. Allora la Via della Croce non diviene che una narrazione intorno al sacrificio di un “buono”, uno degli innumerevoli racconti intorno all’ingiustizia che produce e domina della storia. Ma con ciò non si potrebbe mai dar ragione al fatto che l’evento di quella Croce ha segnato il cuore di un’intera civiltà. Per spiegarselo occorrerà forse interrogare in questa direzione: il Calvario, la sua via non è l’itinerario diritto che va dalla miseria alla luce, ma la domanda tragica sulla loro unità, superiore ad ogni phantasia; la Via sono le vie che si contraddicono tra vita e morte ”irradiate” dall’Uno; il sacrificio non è quello di un maestro o di un “buono” ma del Logos che è Dio.
Massimo Cacciari da “Via Crucis” di Carlo Maria Martini