Come definire l’ossessione di gran parte della filosofia analitica per pratiche di purificazione linguistica il cui scopo è essenzialmente di dire esclusivamente quel che non ha affatto bisogno di essere detto e cioè che il mondo è? A che cosa attribuire la volontà di identificare nella trama del linguaggio il solo testo che è il mondo, ricacciando nell’indicibile tutti gli altri testi che dicono o che tentano di dirne il senso, la bellezza, il mistero? Perché questa sordità di fronte alle infinite voci del mondo, perché un cosi totale disconoscimento del «grande coro polifonico del sapere»?
da “Il bibliotecario di Leibniz” di Sergio Givone