C’eravamo immaginati

Il gusto per lo sberleffo, il piacere di ingannare, travisare, cogliere di sorpresa e far riflettere. Gli ingredienti sono tutti legittimi, intendiamoci: dai simboli con chiari agganci al surrealismo Bretoniano, al Dada, a Man Ray delle composizioni fotografiche e sino a Duchamp, con i suoi “ready made”.

E ancora qualche spruzzatina di Arp, di Ernest e tutta una serie di godibili riferimenti letterari. La grande letteratura, ben s’intende. Quindi Dante e Cervantes in prima fila. Poi, alle spalle delle composizioni più elaborate, i sogni grandi e nobili della generazione sessantottina, con conclusioni piuttosto amare. Senza tristezza, ma semplicemente con una ironica presa d’atto. In alcune delle immagini appare anche lo squassato e un po’ buffo mondo della fotografia, visto come una “corsa a qualcosa” e il relativo misero annegare tra speranze e delusioni. Dunque, proprio questo è il lavoro di Claudio Spoletini e Sebastiano Messina, due convincenti fabbricatori di immagini che navigano, ormai da qualche anno, nel periglioso mare della comunicazione. Già perché quelle che presentano non sono solo fotografie, ma un intelligente e colto esperimento ben più complesso e difficile da definire. Nei precedenti lavori, i simboli e la ricerca, sempre di taglio surrealista e venata da mille interrogativi, Spoletini e Messina si fermavano ai rapporti tra piani e volumi e usavano gli accostamenti, sfruttando al massimo le distorsioni degli obiettivi e della prospettiva, usati, con il colore, in funzione del gioco della fantasia. Ora, invece, vanno ancora oltre. Come se all’improvviso avessero scoperto che, per loro, il mezzo fotografico risulta un po’ “stretto” e non basta più. L’esperimento è di grande interesse e merita di essere studiato con attenzione. Sono fotografie quelle dei due autori? Si tratta di “fotogrammi”? Di “chimigrammi”? Di fotomontaggi? Che altro? La risposta che viene subito alle labbra è quella classica: e che importa? Che senso hanno le difinizioni e gli schemi? Quello che conta, come al solito, sono le idee e i sentimenti che essi riescono a comunicare e il gioco dell’intelligenza. Una intelligenza, in questo caso, colta e agguerrita, piena di ironia e con qualche tocco malinconico.

È come se, con il loro lavoro, Claudio e Sebastiano volessero dire anche un po’ addio ai sogni e scuotere chi guarda dalle illusioni delle formule che, troppo spesso annegano molta fotografia attuale nella noia, nel “già visto” e nel banale. Voglio dire che il loro lavoro potrebbe assolvere alla stessa funzione che ebbero le “dure” vignette e i Grosz o i fotomontaggi di John Eartfield nella Berlino prenazista. Il riferimento, in questo caso, non è alla società nel suo complesso, ma, appunto, al mondo dell’immagine  e della comunicazione che si sta sempre più imborghesendo e ideologicamente massificando, in una “resistibile ascesa” che pare non trovare gli ostacoli. Qualcuno potrebbe anche parlare di “fotografia demenziale”, pigliando a prestito altri linguaggi e altri strumenti del comunicare di oggi.

Ma non credo che le immagini di Sebastiano Messina e Claudio Spoletini vogliano essere questo. C’è di più, molto di più, lucida razionalità, rabbia e la voglia di dire quello che c’è da dire ad ogni costo e con qualunque mezzo. Per questo le loro immagini vanno guardate e capite. Anzi, meditate!