Slittamenti interpretativi

Slittamenti interpretativi: potrebbe essere il sottotitolo di una mostra che vede convergere in un gioco di contrasti e analogie quattro fotografi, legati da un sottile fil rouge: lo straniamente percettivo in funzione di stimolo ad una presa di coscienza sulle multiple e multiformi possibili letture di una realtà esterna o interna a noi.

Altera, come alla latina indicheremmo la suggestione di “altre cose” o, per traslato, di “cose altre”; altèra, come forma e qualità della percezione, posta in un atteggiamento di distacco da ciò che di fenomenologico si osserva e si vive, per permetterne una interpretazione amplificata che dia voce ad una rinnovata risonanza interna e che apra ad una sensibilità non disposta ai compromessi delle convenzioni; àlteraV’come verbo coniugato di “alterare”, nell’accezione esortativa di “rendere altro”, una sorta di invito rivolto all’osservatore, finalizzato ad un’azione più attiva nella lettura delle opere e del loro messag­gio in mutazione, In evoluzione, sotto I suoi occhi, il che implica, necessariamente, una disponibilità ad una Interpretazione dinamica, pronta alla sorpresa di un progressivo cogliere Y altro disvelantesi nelle stesse immagini proposte dai fotografi.

Gli artisti declinano questa comune modalità di comunicazione visuale attraverso le loro diverse personalità.

Alessandro Alimonti e Maristella Campolunghi lavorano sul dettaglio reale, catturato dall’obbiettivo che nell’in­quadratura separa la porzione scelta dal suo contesto originario; il particolare viene monumentalizzato così da riempire tutto il trame fotografico e divenire Indipendente nel messaggio, perché svincolato dal senso dell’oggetto completo di cui costituisce una minima parte. L’osservazione di una realtà oggettiva nella parzialità dei suoi elementi compositivi rivela un’inattesa ricchez­za espressiva, insita nell’ambiguità che I particolari Ingranditi conquistano, fino a divenire autonomi e variegati nelle potenzia­lità comunicative del loro significante.

Sebastiano Messina e Claudio Spoletini lavorano sull’Insieme, sulla veduta, sul paesaggio che da reale, o almeno riconoscibile nelle forme a noi familiari, diviene mentale e spesso metaforico di una dimensione interiore, attraverso una stra­tificazione, una ricercata sovrapposizione o giustapposizione che abbina immagini diverse per genere o per sostanza, a volte anche apparentemente inconciliabili.

Entrambi risentono, così come anche Alimonti e Campolunghi, del genio conosciuto e frequentato di Luigi Ghirrl, fon­damentale fotografo italiano che rinnova l’identità di quest’arte a partire dalla seconda meta degli anni Settanta con il suo esempio e le sue riflessioni: egli considerava la fotografia come “un’avventura del pensiero e dello sguardo”, “un grande gio­cattolo magico che riesce a coniugare il grande e il piccolo, le illusioni e la realtà, il tempo e lo spazio, la nostra adulta consa­pevolezza e il fiabesco mondo dell’Infanzia”. Interrogandosi sul senso autentico di quello che chiamava “l’enigma fotografia”, Ghirn non trovava risposte certe e univoche, a dimostrazione di come la fotografia, quanto qualunque altra espressione artisti­ca, emerga sempre da una confluenza di desideri, di sogni, di ricordi, di invenzioni, di Intuizioni.

Nella unitaria atmosfera di sospesa e gravida ambiguità, il processo diversifica l’immagine risultante: se nel primi due fotografi l’osservazione attenta e sensibile della realta conduce alla scoperta, nella realtà stessa, del nuovo in forme astratte, geometriche oppure organiche, negli ultimi due l’osservazione del contesto esistente è funzionale alla manifestazione di una realta Interiore, invisibile e perciò inattingibile se non attraverso la realizzazione di un’immagine di surrealtà che deriva dall’ab­binamento studiato, intellettuale, tra l’osservato e il ricordo (emerso e scelto). Dunque, passiamo dalla sorpresa per un messag­gio Inaspettatamente trovato all’enigmaticità di un messaggio cercato e realizzato; dal concreto dell’oggetto che si trasforma in astrazione formale all’astratto mentale che si manifesta In un figurativo metafisico; l’astratto geometrico e l’astratto organi­co si oppongono alla nconoscibilità di oggetti e paesaggi nel comune territorio della metamorfosi del senso, nella dinamica intuizione di ciò che non si vede (“Il tutto” in Alimonti e Campolunghi; “l’interiore” in Messina e Spoletini), l’altro, appunto, le cose altre…altera.

Alimonti nel suo lavoro astrae (“ab-trahere”, togliere via) particolari architettonici “concretizzandone” la pura forma in atmosfere straniate, attraverso scorci e inquadrature annulla la visione unitaria della struttura, ne bldimensionallzza il volume o ne modifica le peculiarità originarie suggerendo tridimensionalità nuove: rende, così, la spazialità dell’immagine ambigua e instilla nello spettatore un dubbio percettivo sulla vera essenza dell’oggetto della fotografia. Il riverbero di questo dubbio è nello stimolo ad una presa di coscienza esistenziale In cui la realtà, che pure si mostra in un aspetto parziale, va cercata oltre, oltre il limitare dell’inquadratura fotografica. Nitidezza estrema dell’immagine e dei contrasti cromatici, quasi le fotografie fossero dise­gni ad acquarello e china, si rivelano nel giochi di luce e ombra, volutamente resa quasi un segno grafico. Le composizioni di Alimonti presentano forme terse, taglienti, spigoli che trasformano da! chiaro allo scuro cromatismi uniformi la cui materia è porosa o compatta, liscia o scabra, a seconda degli intonaci o degli stucchi Inquadrati; la luce disegna linee nette o veloci ric­cioli opachi e rende impossibile la distinzione tra ciò che è volume e ciò che è linea d’ombra.

Campolunghi fotografa dettagli vegetali che grazie al close-up divengono organici in senso ampio, allargato, detta­gli che nello sfumato delle ricercate sfocature acquistano una voluttà delicata, ma quasi carnale. Una sensualità raffinata per­mea ogni sua immagine: la sottile e vellutata Inconsistenza del petali di fiore, ormai spanto nella sua interezza, acquista pro­fondità e spessore nei morbidi passaggi dalla luce all’ombra; colori caldi emergono dal buio, candori striati di rosso-arancio divengono quasi fluidi o evanescenti. La fotografa riserva un’estrema attenzione al fascino dei margini, a volte nitidi e increspa­ti, a volte sgranati e impastati. L’Indagine scende con delicatezza fino all’Intimo dei fiori, al pistilli, al loro polline, ma nell’Inqua­dratura ravvicinata tutti gli elementi appaiono come particolari di paesaggi nuovi, di tessuti avvolgenti e luminosi o di palpitan­te epidermide umana. L’astrazione formale di queste composizioni rinnova e amplifica la forza emotiva di soggetti, i fiori, la cui bellezza è troppo spesso banalizzata nella loro stereotipizzazione decorativa legata alla funzione di semplici ornamenti. La meta­morfosi che si svolge sotto I nostri occhi In questo caso vede mutare la natura, lo spessore e la consistenza tattile di qualcosa di comune che può, grazie ad uno sguardo non comune, esprimere potenzialità nascoste In tutto ciò che ci circonda.

Messina lavora sulle stratificazioni di natura esperienzlale, tra reminiscenze culturali e vita, che si traducono in Insiemi visivi, ricchi di citazioni pittoriche fra II metafisico e II surreale, nella volontà di rinnovarne il messaggio di attenzione al miste­rioso, all’enigma che è parte affascinante, potente e tragica della vita. Dietro ad ogni Immagine c’è un percorso Individuale del­l’artista che coniuga riflessione filosofica di stampo esistenziale con un vissuto che trascolora nell’onirico, nella prospettiva di dare voce al dramma dell’esistenza, ma anche al suo possibile riscatto nell’aspirazione ad una dimensione positiva del vivere tra galleggiamento e viaggio (ricorre la presenza di una chiglia di barca o di una nave), tra il dentro e II fuori dell’Uomo, nella con­dizione di un tempo che scorre o che è bloccato. La tematica del tempo, la presenza del classico, I soggetti del mondo anima­le associati ad oggetti del quotidiano, spesso In modo a primo Impatto illogico (o se non altro terribilmente inconsueto), i cieli che si sovrappongono agli elementi del paesaggio (e non solo viceversa!), le trasparenze e le velature o gli oggetti comuni gal­leggianti nell’aria, che muta stato e forse è anche acqua, l’uso straniante del titoli in consonanza o In contrasto con la Imme­diata lettura delle immagini: tutto contribuisce a rendere tangibile una dimensione sospesa, fuori dalle categorie fisiche e con­venzionali del tempo e dello spazio attraverso cui slamo soliti decifrare la realtà.

Spoletini si muove tra gioco e realtà: caseggiati in plastica si affiancano a ville verdeggianti; strade reali si popolano di vetture-giocattolo, così come cantieri edilizi vengono serviti da autocarri fittizi; un parapetto si trasforma nello spiazzo di un belvedere dove parcheggiano due motociclisti di latta; uno sperone di terra con un faro si affaccia su uno scorcio di mare in fondo al quale si vede un altro promontorio slmile, questa volta reale, ma deformato dal grandangolo. Il piccolo assume dimen­sioni amplificate che gli permettono di relazionarsi all’ambiente e anche questo è un gioco, un gioco ottico-prospettico. La real­tà si confronta con l’artificioso, In un primo momento attraverso un’ingannevole mimesi; ma anche in prima battuta un quid non quadra, siamo messi sull’avviso dalla semplificazione formale di alcuni elementi della composizione, la demistificazione del­l’ingegnoso meccanismo prospettico che regola la costruzione di ogni immagine avviene per gradi progressivi: non si compren­de chiaramente da subito, all’inizio si coglie solo la palese finzione dei soggetti che riportano ai giochi dell’infanzia, ma solo dopo, se ci si ostina a cercare ancora cosa non rende l’immagine omogenea, armonica, ci si accorge dell’accurato lavoro di aggiustamenti proporzionali e cromatici dati dalle angolazioni dei tagli fotografici. Un tuffo nel passato che ci fa bambini e che, però, è anche oggetto reale In contesti reali (le fotografie non sono fotomontaggi). Il rapporto tra memoria e realtà, e la loro chiara distinzione, necessita di un tempo prolungato e di una volontaria insistente e curiosa osservazione, di un attivo impegno di chi si trova ad affrontare l’opera…e poi la vita.

Altera è dunque anche alter-azione, laddove l’atto artistico, sebbene blocchi nello scatto fotografico uno status tem­porale e formale, è in grado di innescare una nuova azione, tutta mentale e individuale, che trasformi In soggetto attivo ogn fruitore e lo porti a vivificare e rigenerare continuamente la propria percezione della realtà.