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Se si analizza l’attuale fase che vive il nostro pianeta, emerge una realtà estremamente complessa, dominata dal potere dei mass-media che veicolano una quantità abnorme di segni-informazioni, principalmente attraverso immagini.

Il mezzo principe di dominio culturale è la televisione che si basa proprio sull’immagine, che vuole sostituire l’immaginario dell’individuo con uno collettivo ben più controllabile e più facile da indirizzare.

Ma qualcuno vuole stonare dal coro, come per esempio la trasmissione televisiva “Blob”, con il suo sistema in cui rimontando degli spezzoni di altri programmi con una logica totalmente divergente dai loro originali intenti, crea una visione critica e sovversiva del mezzo televisivo.

Così anche le immagini manipolate di Sebastiano Messina generano, con i collaudati strumenti usati dai surrealisti, lo svelamento di questi meccanismi, aggredendoli proprio con gli stessi mezzi anche se stravolti nei modi e nelle finalità.                                                         

Messina sottopone lo spettatore ad una serie di torture attraverso le situazioni costruite con l’ironia più feroce e visionaria combinata con la cruda capacità narrativa, che riconduce ai racconti di Edgar Allan Poe ma anche a quella fotografia americana – Arbus, Tress e Krims per citarne solo alcuni – che usa la fotografia come strumento di forte denuncia sociale.

Queste immagini sono da intendere come un estremo atto di liberazione da tutti i condizionamenti che la società e la natura umana hanno da sempre imposto  all’individuo.

Dunque proprio contro la massificazione e l’appiattimento dell’immaginario, così come del resto le azioni dei surrealisti, l’autore aspira a creare una cultura antagonista che dia voce al proprio io insubordinato e anarchico, forse indiscutibile, irriverente verso schemi e catalogazioni.

Come l’astronauta di “2001 Odissea nello spazio” rivive liberamente tutto il percorso dell’esistenza dopo aver ridotto al silenzio disattivandolo, il computer di bordo – alter ego del Grande Fratello di Orwell – così le immagini di Messina propongono la ricomposizione di un’esistenza basata su valori diversi da quelli dominanti e avversi alla realtà virtuale prodotta dal mondo del “Mulino Bianco”.